lunedì 1 giugno 2015

Another Hero - Ran -


Avviso importante:
Prima di procedere nella lettura volevo dirvi che questa storia è a tutti gli effetti un reboot in chiavce originale di una serie di mie fanfiction ambientate nel mondo di Fallout 3.
Se le avete già lette vi suggerisco di andare a leggere, prima di procedere, la nota che trovate in fondo alla pagina, altrimenti, se non le avete già lette o se non vi interessa potete continuare tranquillamente nella lettura.
Grazie.



ANOTHER HERO
- Ran -
Script by: suinogiallo

capitolo 1

    - Al diavolo! - borbottò Watarù standosene rannicchiato dietro alcuni cumuli di macerie.
Tre giorni prima era ad Odessa e si stava dirigendo da qualche parte nel nulla seguendo la 302 quando, all'altezza di Mentone, vide tre artigliatori pasteggiare con quello che rimaneva di un autoctono1.
Gli artigliatori erano forse la specie di mutanti, dopo quelli umanoidi, più pericolosa da incontrare.
Avevano le fattezze di una lucertola ma erano grandi come esseri umani ed erano in grado di sorreggersi sulle zampe posteriori.
Oltre agli artigli sulle zampe anteriori e ai denti, eccezionalmente affilati, potevano contare su di uno scatto e di una velocità nella corsa insospettabili e, soprattutto, su di una pelle abbastanza spessa da proteggerli dai proiettili di piccolo calibro e dalle lame.
Incontrarne uno poteva voler dire grossi guai, incontrarne tre era sinonimo di sfortuna nera!
Senza dire nulla e cercando di non fare rumore, Watarù, si nascose dietro dei detriti ed iniziò a valutare la situazione.
Da quando la sua capsula di salvataggio si era schiantata sulla Terra era sempre stata una battaglia per la vita. Quel posto non era un parco giochi e se non si tenevano gli occhi aperti e le armi ben pronte difficilmente campavi più di qualche giorno.
Ed il poveraccio che era finito a fare da pasto ai tre artigliatori ne era un esempio.

Well in the tows where I was raised,
the clock ticked and the cattle grazed
Time passed with amazed grace,
Back where I come from

    La radio che portava appesa allo zaino iniziò a trasmettere Where I come from, di Kenny Chesney e quasi nello stesso istante vide uno degli artigliatori alzare la testa dal corpo dell'autoctono e voltarsi verso il suo rifugio improvvisato. Probabilmente lo aveva fiutato o, molto più probabilmente aveva sentito la radio. E adesso sarebbero stati cazzi!
Erano a meno di cento metri, due balzi e gli sarebbero stati alla gola.

We learned in Sunday school,
who made the sun shine through
I know who made the moon shine too,
Back where I come from

    Cercando di non farsi prendere dal panico fece l'inventario delle armi e delle munizioni su cui poteva contare.
Alla cintura aveva una sig p220 e una colt Anaconda mentre sulla schiena si portava dietro un fucile d'assalto calibro .556. Appesa allo zaino aveva poi una mitraglietta da 10 millimetri e dentro, invece, un fucile a pompa.
Una potenza di fuoco non indifferente.
L'unico problema erano le munizioni.
Per il fucile d'assalto non c'erano problemi, aveva un bel po' di .556, così come aveva una discreta scorta di proiettili da 10 millimetri.
Erano le due pistole e, soprattutto, il fucile a pompa che lo preoccupavano.
Per la sig aveva una ventina di colpi in tutto mentre per la colt ne aveva qualcuno in più. Di cartucce per il fucile a pompa, invece, ne aveva solo cinque.
- Eccolo che viene! - mormorò vedendo l'artigliatore che aveva guardato nella sua direzione iniziare a camminare verso di lui.
Se solo lo avessero attaccato uno alla volta!
Ma Watarù sapeva che non sarebbe andata così.
Però, si disse, se riesco a buttarne uno giù subito, affrontarne due sarebbe meglio che affrontarne tre tutti insieme.

Some say it's a backward place,
narrow minds on a narrow wage
But I make it a point to say,
that's where I come from

    Senza pensarci due volte scattò in piedi prendendo il fucile d'assalto e, d'impeto, scaricò una raffica di colpi contro l'artigliatore che era giunto a pochi metri da lui.
Alcuni schizzi di sangue gli confermarono che alcuni colpi erano andati a segno e si permise un piccolo ghigno soddisfatto.
Terminò di svuotargli addosso il resto del caricatore cercando di tenere sempre a mente quanti proiettili stava utilizzando.
Aveva una bella scorta di proiettili .556 ma non è che fosse infinita.
Cambiò il caricatore del fucile d'assalto e scaricò una nuova raffica contro l'artigliatore che, raggiunto alla testa e al corpo, dopo aver fatto una capriola all'indietro cadde a terra morto.
- Vai all'inferno bastardo! - gridò Watarù iniziando a indietreggiare mentre gli altri due artigliatori, dopo essere rimasti alcuni secondi fermi a guardare la scena, allontanandosi leggermente l'uno dall'altro iniziarono ad avvicinarsi verso di lui.
Quella mossa non se l'era aspettata.
Aveva pensato che una volta sentiti gli spari e avvertita la presenza di una preda i due artigliatori superstiti si sarebbero messi a correre verso di lui rimanendo appaiati. In questo modo avrebbe avuto un bersaglio più semplice.
Allontanandosi l'uno dall'altro disponendosi, quindi, quasi a ventaglio, lo avevano disorientato.
- Merda! - esclamò guardandosi intorno alla disperata ricerca di un posto dove asserragliarsi.
In campo aperto non avrebbe avuta nessuna speranza ma se, invece, fosse riuscito a trovare un riparo avrebbe avuto qualche speranza in più.
- Di la! - urlò quasi a volersi spronare.
Aveva visto un edificio sulla sua destra che poteva essere adatto allo scopo.
Senza starci troppo a pensare si voltò e iniziò a correre verso quella che forse una volta era una caserma dei vigili del fuoco. Il rottame di una vecchia autopompa rossa che se ne stava appoggiato su dei blocchetti di cemento vicino all'edificio confermò questa ipotesi.
Ci impiegò meno di cinque secondi per raggiungere la porta d'ingresso e, con gli artigliatori ormai a meno di una decina di metri da lui, si scagliò contro quello che rimaneva della porta entrando nell'edificio facendo una capriola su se stesso e rimettendosi in piedi praticamente all'istante.
- Di sopra! - si disse poi cercando con lo sguardo le scale - Rapido! -
Gli artigliatori si schiantarono violentemente contro l'ingresso facendo volare quello che rimaneva dell'intelaiatura e finendo, poi, a causa dello slancio, lunghi distesi sul pavimento.
I loro artigli erano pensati per fare presa sul terreno e non sul linoleum e questo diede a Watarù quei pochi secondi di margine per riuscire a salire al secondo piano e a gettare un paio di granate sulle scale.
- Fottetevi all'inferno! - urlò sentendo il rumore delle due esplosioni e vedendo dei brandelli di artigliatore spalmarsi contro la parete.

That's where I come from
I'm an old Tennessean
Well Im proud as anyone
That's where I come from

    Riprendendo fiato si avvicinò alle scale tenendo il fucile d'assalto saldamente tra le mani, il dito sul grilletto, e puntato verso la nuvola di polvere che si era sollevata per verificare che la minaccia fosse cessata.
Sulle prime aveva pensato che le scale sarebbero crollate a causa dell'esplosione ma, quando si affacciò, si rese conto che non solo non erano crollate ma che uno dei due artigliatori era ancora vivo.
Un ringhio arrabbiato lo mise in guardia e gli permise di scansarsi un secondo prima che un artiglio sbucasse dalla nuvola di polvere e gli aprisse un buco supplementare nello spolverino.
Se l'artigliatore non avesse ringhiato il buco ce l'avrebbe avuto sulla pancia e, per questo, prima di scaricargli addosso l'intero caricatore del fucile d'assalto lo ringraziò.
- Bingo! Tombola! - urlò infine tirando fuori la sig e puntandola contro il cranio dell'artigliatore  - E sei fottuto! -
Lo finì con tre colpi alla testa. Uno che lo mancò, uno che lo sfiorò e il terzo che finalmente centrò il bersaglio passandogli il cranio da parte a parte.
Diavolo, si disse, infine lasciandosi scivolare a terra.
D'accordo, quelle erano armi primitive, pesanti e poco precise, ma mancare un bersaglio a dieci centimetri di distanza era davvero una cosa di cui si doveva vergognare.

    Con molta cautela uscì dall'edificio guardandosi intorno con attenzione.
Anche se la zona adesso gli sembrava tranquilla preferì non fidarsi e prima di avvicinarsi a quello che rimaneva dell'autoctono si accertò che, davvero, ci fosse solo lui.
Era uscito da quello scontro con qualche livido ed un nuovo buco nello spolverino che, appena possibile, avrebbe rattoppato. Nulla di troppo grave e niente in confronto a quello che era successo a quel poveraccio.
Gli artigliatori lo avevano sventrato ed avevano iniziato a nutrirsi strappando ampie porzioni di carne dal corpo. Un braccio mancava all'appello e ciò che rimaneva del volto era talmente malridotto da rendere impossibile stabilirne l'età.
- Vediamo cosa ti portavi dietro! - disse poi Watarù chinandosi sulla carcassa iniziandola a perquisire e formando un mucchietto di roba vicino a se.
Se lo avessero visto i suoi amici della colonia su Marte sarebbero rimasti scioccati e inorriditi.
Stava depredando un cadavere! Una cosa oscena.
I vestiti erano del tutto inutilizzabili ed anche le scarpe non stavano di certo meglio ma nelle tasche della giacca che indossava Watarù trovò un piccolo tesoro.
Antibiotici e droghe. E alcune delle droghe erano addirittura pre olocausto. Roba di prima scelta ragazzi!
Solo vendendo le droghe pre olocausto avrebbe guadagnato un bel po' di monete.
Trovò poi anche degli antipiretici e degli antidolorifici. Tutta roba pre olocausto scaduta da almeno un centinaio di anni ma che faceva ancora il suo dovere. Non sempre a dir la verità, ma quando lo faceva rimpiangevi davvero che non ci fossero più persone in grado di far funzionare le macchine che le producevano.
Watarù avrebbe venduto, comunque, anche i medicinali.
A lui non servivano e quindi era inutile portarseli dietro.
Nel kit di sopravvivenza della sua capsula di salvataggio c'era un sintetizzatore in grado di produrre le più comuni molecole medicinali per cui, giocare alla roulette russa con i farmaci del posto era del tutto fuori discussione per lui.
Quello che invece non avrebbe venduto erano le munizioni.
Non erano molte a dir la verità, una decina di cartucce che sarebbero andate bene per il fucile a pompa ed una manciata di proiettili per la colt, ma sempre meglio che niente!
- Aspetta un attimo! - si disse improvvisamente rimettendosi in piedi e guardandosi intorno - Niente armi? -
Se aveva con se delle munizioni doveva avere anche delle armi. Senza contare che non ce lo vedeva proprio un autoctono andarsene in giro disarmato. Soprattutto se in tasca si hanno due o trecento monete in droghe e medicine.
Si guardò intorno scorgendo, così, una striscia di sangue che dal corpo dell'autoctono si allungava per alcuni metri.
Non era stato ucciso li, mormorò, ma da qualche altra parte e trascinato li. Trovato il punto dell'aggressione avrebbe trovato il fucile. O quanto meno questo era quello che pensava lui.
Anche se decisamente poco possibile c'era sempre la possibilità che non avesse armi con lui. Ed il fatto che avesse delle munizioni poteva non voler dire nulla.
Lui, ad esempio, si portava dietro un proiettile da mortaio senza avere il mortaio.
Le munizioni erano merce di scambio preziosa in quel mondo. Non hai monete? Bene, dammi una ventina di pallottole e l'affare è fatto lo stesso.
Li, in quel mondo, ogni cosa, anche la più piccola, poteva fare la differenza. Anche un pezzo di carne di formicane.
Specie se il formicane in questione pesa quanto un vitello! Una battuta degna di Oracolo.

    Iniziò a seguire la striscia di sangue prestando, comunque, molta attenzione ai dintorni e finalmente giunse a dove l'autoctono era stato attaccato dagli artigliatori.
Una macchia di sangue piuttosto grossa, un braccio ed una mano che stringeva ancora un fucile.
Rotto!
Diavolo, vedi cosa succede se non si presta attenzione alla manutenzione delle proprie armi! Che il primo stronzo di artigliatore in cui ti imbatti ti fa la festa!
Nel frattempo la musica che usciva dalla radio era sfumata e improvvisamente nel silenzio echeggiò la voce di Oracolo, l'annunciatore di Radio Fottutamente Libera, che come di consueto invitava tutti ad andare a farsi fottere da un mutante sordo.
- Fai a farti fottere tu! - borbottò tra i denti sentendo la voce di Oracolo.
L'aveva conosciuto e non gli era simpatico. Ma proprio non gli era simpatico per niente. Neanche per un poco.
Intanto perché per dirgli quelle quattro stronzate su di un fantomatico ingegnere in grado di riparare la radio della sua capsula lo aveva mandato a cercare un pezzo per il trasmettitore della radio.
Porca puzza masticata, il magazzino dove lo aveva spedito era pieno di mutanti di tutte le taglie e tutte le forme e se aveva salvato il culo era stato solo per una immensa botta del medesimo.
Che poi, a ripensarci a mente fredda, era circondato da una decina di guardie del corpo armate fino ai denti. Non poteva mandarci loro?
Ma non era solo quello il motivo per cui odiava sinceramente Oracolo.
Facile la vita per lui, dentro la sede della RFL, protetto da quel gruppo paramilitare, con cibo e acqua sempre a disposizione. Mandava un disco, diceva quattro cazzate e poi di nuovo un disco.
Qualche volta parlava anche di lui però. E questo glielo rendeva ancora più antipatico.
Non c'era abitante di quella parte di mondo che non sapesse chi era il ragazzo caduto dal cielo.
I buoni a chiedergli di aiutarli e i cattivi decisi a levargli la pelle.
Diavolo. Prima o poi sarebbe entrato dentro la RFL e gli avrebbe infilato una granata nel culo.
Problemi di stitichezza addio, amico! E al diavolo il buon karma e tutte le stronzate annesse e connesse.
Sogghignando si infilò comunque nello zaino il fucile. Anche se era rotto non voleva dire che non avesse un valore.
Poteva venderlo come pezzo di ricambio o, in alternativa, usarlo per riparare il suo fucile a pompa o, ancora, avrebbe potuto provare a ripararlo e guadagnarci di più nella vendita.
Si guardò ancora intorno alla ricerca di qualcosa che potesse essergli sfuggito e, infine, dopo essersi data una rassettata ed aver sistemato tutto per bene dentro lo zaino, riprese il suo viaggio allontanandosi da Mentone.

    Watarù era arrivato sulla Terra da poco più di due anni ma erano solo otto mesi che se ne andava in giro per quel posto selvaggio. Il resto del tempo lo aveva passato a dormire dentro la capsula di salvataggio.
Il sistema di sostentamento vita lo aveva posto in animazione sospesa per dar modo alle ferite causate dall'incidente di sanarsi. In teoria sarebbero bastati pochi giorni di terapia ma un problema nel software del sistema automatico lo tenne in animazione sospesa per più tempo svegliandolo, alla fine, solo quando le batterie della capsula furono prossime ad esaurirsi.
Questo non sarebbe stato un grave problema comunque. Avrebbe dormito un po' di più rispetto al previsto mentre i sistemi automatici facevano in modo che non perdesse tono muscolare a causa dell'inattività prolungata. Nel frattempo il trasmettitore di emergenza della capsula avrebbe inviato costantemente un segnale radio indirizzato alle squadre di soccorso e nel giro di poco tempo sarebbe stato trovato e salvato.
Ma qualcosa non funzionò neanche li e dalla capsula non partì nessun segnale di soccorso e le squadre inviate per cercarlo, probabilmente, non ricevendo nessun segnale se ne tornarono su Marte convinte che la capsula fosse bruciata nell'atmosfera. Diavolo fottuto, non aveva funzionato nulla in quella missione.
A quel punto l'unica speranza di Watarù risiedeva o nel riuscire a trovare un trasmettitore abbastanza potente da permettergli di inviare un segnale di soccorso fino a Marte o, in alternativa, scoprire se fosse vera la storia che aveva sentito da Oracolo su di un gruppo di persone arrivate da Marte che stavamo continuando a cercarlo in giro per il mondo. Ma gliene aveva raccontate talmente tante che credergli era più un atto di fede che altro.
E nel frattempo, ovviamente, cercare di non finir ucciso da qualche mutante o dalle bande di autoctoni che si aggiravano da quelle parti.

    Uscito da Mentone continuò a camminare seguendo la 302 in direzione sud.
Non aveva una direzione specifica da seguire per cui poteva permettersi di andare dove voleva senza alcun bisogno di seguire una strada ben precisa.
Oracolo gli aveva detto qualcosa a proposito di una missione di soccorso proveniente da Marte che era scesa da qualche parte e che stava ancora continuando a cercarlo ma non era riuscito, o non aveva voluto, dargli indicazioni più precise.
Aveva parlato di una casa di Jack dove si poteva trovare un whiskey di quelli capaci di resuscitare un morto ma oltre quello non era stato in grado di dirgli altro.
Per cui, tanto valeva camminare seguendo una strada, raggiungere un bivio, annusare l'aria, tirare una moneta o lasciar cadere un bastone e andare dove gli pareva e, quando si sarebbe stancato, tornarsene indietro a Big Spring.
Era il primo posto che aveva incontrato una volta uscito dalla capsula.
Resosi conto che era trascorso più di un anno dall'incidente e che il radio faro non aveva funzionato decise che rimanere li equivaleva ad un suicidio e, quindi, si incamminò seguendo una strada costeggiata da alte pale eoliche.
Malfermo sulle gambe, ustionato dal sole, quasi accecato da quella luce cosi intensa e sull'orlo della disidratazione era crollato davanti ad un cancello costruito con quello che rimaneva di grossi automezzi.
Era stata Aghata, una donna del posto a notarlo e a farlo portare dentro il piccolo fortilizio ricavato circondando con gli scheletri di grossi automezzi e altro materiale di risulta quello che una volta doveva essere un campo da golf.
Lo sdraiarono su di una golf cart e lo trasportarono in uno degli edifici mentre una folla iniziò a radunarsi per vedere il tizio vestito strano che Aghata aveva trovato fuori dal cancello.
Lo curarono al meglio delle loro possibilità e quando fu in grado di parlare, alcuni giorni dopo, venne interrogato da quello che si presentò come la più alta carica della comunità. Gheberit Holmes.
A Watarù venne quasi da ridere vedendo un ometto alto poco meno di un metro e mezzo, una enorme testa calva ed un paio di occhialini rotondi calati sul naso. Riuscì, però, a trattenersi dicendosi che non sarebbe stato bello mettersi a ridere del capo del gruppo di persone che gli aveva salvato la vita.
Gheberit gli fece poche domande. Se fosse lui il tizio caduto dal cielo, dove era stato tutto quel tempo e se era vero che su Marte tutti pesavano di meno!
Quest'ultima cosa gliela chiese guardando in direzione di una donna piuttosto in carne che Watarù scoprì in seguito essere sua moglie.
Watarù cercò di rispondere a tutte le domande ma, giunto a quella relativa al peso si limitò solo a dire che la gravità era stata aggiustata e anche se non era proprio identica a quella terrestre ci si avvicinava molto.
Poi venne il suo turno di fare delle domande e dalle risposte scoprì che si trovava nella merda più profonda.
Gli abitanti di Big Spring sapevano che qualcuno era venuto a cercare un tizio caduto dal cielo ma che, da quello che avevano sentito, se ne era tornato da dove era venuto. Non sapevano, invece, se ci fosse qualche trasmittente abbastanza potente da inviare un segnale fino a Marte e, infine, lo informarono che avevano recuperato la sua capsula e che Moira2, l'unica in tutta la comunità che sapesse qualcosa di elettronica e meccanica, le aveva dato una occhiata per vedere se fosse possibile far funzionare qualcosa ma che, con una gran alzata di spalle, aveva decretato che quella roba era lontana anni luce dalle sue capacità.
Avrebbe potuto chiedere a Zaki però, il suo mentore. Si diceva che fosse il discendente di uno degli ingegneri che duecentoventi anni prima aveva collaborato alla costruzione della prima cupola che avrebbe costituito parte della colonia su Marte.
L'unico problema era che questo Zaki se ne era andato da Big Spring cinque anni prima e nessuno sapeva dove fosse.
Peggio di così non poteva andare.
Quando gli offrirono uno spiedino di lucertola cornuta e del latte di longhorn si rese conto che, probabilmente sarebbe potuta andare anche molto peggio!

    - Ora, ora, ora... qui è il vostro Oracolo che vi parla e che vi augura che la vostra giornata stia trascorrendo fottutamente tranquilla! - la voce di Oracolo eruppe dalla radio che portava appesa allo zaino - Guardatevi sempre dietro le spalle! Un mutante sordo potrebbe sbucare dalla vostra ombra e fottervi prima che possiate dire, si mettimelo qui! -
- E adesso parliamo un po' del tempo - continuò iniziando a snocciolare varie informazioni che, e questo Watarù lo ammetteva, erano utili.
Dove erano stati rilevati gruppi di mutanti umanoidi, le ultime scorribande del clan dei mocassini e qualche istruzione su come mantenere in efficienza le armi.
Quello che invece non riteneva utile erano le informazioni che dava su di lui.
Il ragazzo caduto dal cielo, amichevolmente lo chiamava così. A Watarù tutta quella pubblicità non piaceva affatto e si era ripromesso che la prossima volta che fosse andato a trovarlo gliene avrebbe dette quattro.
Si fermò qualche secondo all'altezza di un incrocio per asciugarsi il sudore e darsi una guardata intorno.
Intorno a lui c'era il nulla assoluto mentre davanti, a circa cinquecento metri, vide stagliarsi alcuni silos che sorgevano accanto alla strada.
Tirò fuori dallo zaino un binocolo e iniziò a scrutare in direzione dei silos vedendo subito quello che cercava.
Accanto alle grosse strutture cilindriche c'era una piccola baracca bianca e vicino quello che rimaneva di una grossa autocisterna.
Rimase alcuni minuti a osservare con il binocolo e quando fu certo di non aver visto nessun movimento strano riprese a camminare dirigendosi verso la baracca.
Era stanco e voleva sedersi da qualche parte all'ombra per mangiare qualcosa e magari schiacciare un pisolino. E quella baracca gli sembrava l'ideale.
Gli era sembrata disabitata e non aveva visto nessuno dei segni tipici della presenza di mutanti umanoidi.
Corpi umani smembrati e appesi un po' ovunque a mo' di segnaletica. Quasi a dire questo è il nostro territorio e questa è la fine che facciamo fare a chi entra senza essere invitato.
Non aveva visto nulla di tutto questo e, almeno nei minuti che aveva osservato la zona, non aveva visto nessun movimento.
Per questo si incamminò con un certa tranquillità verso il piccolo complesso non avvedendosi di un luccichio proveniente da un punto, dietro ad una carcassa di auto, a metà strada tra lui e la baracca.
Sarebbe finito dritto nell'imboscata se non fosse stato che ad un certo punto decise di dare una nuova guardata con il binocolo.
Fu allora che, con la coda dell'occhio, vide finalmente il riflesso del sole sulla canna di un fucile e, acquattata dietro la carcassa dell'auto, la sagoma di un mutante umanoide.

    Una delle conseguenze di mutazioni, l'olocausto che si era abbattuto sulla Terra cento cinquant'anni prima, era stato il proliferare indisturbato e incontrollato di mutanti di tutte le forme e tutte le specie. E tra tutti i mutanti in circolazione quelli sicuramente più pericolosi erano i mutanti umanoidi.
Si trattava di esseri umani mutati che nel corso delle tre generazioni che si erano succedute da mutazioni erano evoluti in nuovi esseri che di umano avevano solo vagamente l'aspetto.
Li si poteva suddividere in tre grossi gruppi. I gollum, probabilmente chiamati così da qualche appassionato lettore di Tolkien, gli zombie e, infine, i macellatori.
I primi erano proprio come l'essere descritto da Tolkien nei suoi libri. Degli esseri grandi come animali di taglia media, completamente glabri e con due grandi occhi gialli. Presi singolarmente non erano un grosso problema ma in gruppo potevano dare molto filo da torcere.
Gli zombie, invece, erano grandi come esseri umani normali e dovevano il loro nome al fatto che sembravano dei corpi in decomposizione. La pelle e la carne tendevano a staccarsi dalle ossa e a lasciare ampi squarci nel corpo mentre la testa spesso era del tutto priva di pelle. Tra i tre gruppi erano quelli più intelligenti e meno aggressivi. In alcuni casi, addirittura, alcuni di loro vivevano nelle città umane ed erano quasi integrati.
Il terzo gruppo, infine, quello dei macellatori era il più pericoloso. Più grandi di un essere umano normale avevano una forza ed una resistenza al di fuori del normale ed il loro appetito era paragonabile alla loro stazza.
Erano loro che lasciavano i corpi smembrati appesi a dei pali per marcare il territorio. Fortunatamente, infatti, non brillavano certo per intelligenza e non avevano ancora capito che indicare la loro presenza in quel modo così pittoresco non faceva si che le loro prede naturali, gli esseri umani, si avvicinassero.
Unica cosa in comune di tutti i tre i gruppi era la loro predilezione per la carne umana. Erano antropofagi.
Il mutante umanoide che Watarù aveva visto acquattato dietro la carcassa dell'auto apparteneva a quest'ultimo gruppo, i macellatori, e poteva star certo di una cosa. Non era solo.
Di solito si muovevano in gruppo di tre, quattro individui, a volte anche di più, e se si stabilivano da qualche parte potevano essere anche una decina.

    Il mutante non diede segno di essersi reso conto che Watarù lo avesse visto ma questo non voleva di certo dire che si trattava di un punto a favore.
Il mutante lo aveva sicuramente visto e stava solo aspettando che fosse a tiro del suo fucile.
Watarù poteva cambiare strada, poteva girarsi e andarsene o rimanere fermo dove si trovava, il mutante prima o poi avrebbe attaccato.
Per cui, si disse improvvisamente il ragazzo caduto dal cielo, tanto valeva sparare per primo sperando che il vecchio detto, chi spara per primo spara due volte, fosse vero.
Rapidamente prese il fucile d'assalto da dietro la schiena e svuotò il primo caricatore con una sola raffica rendendosi conto, però, che il mutante non solo era dietro la carcassa dell'auto ma che era anche troppo distante per sperare di colpirlo. Trenta proiettili sprecati ed un mutante infuriato. Questo era tutto quello che aveva ottenuto sparando in quel modo.
Al diavolo, a volte se lo domandava anche lui. Come aveva fatto a rimanere vivo tutto quel tempo?
- Io cucinerò te a fuoco lento! - urlò improvvisamente il mutante uscendo dal suo nascondiglio e agitando il fucile verso Watarù - E tue ossa per brodo! -
Un vero gourmet!
Un secondo dopo anche il mutante stava sparando senza, anche lui, riuscire a colpire il bersaglio.
Per fortuna i mutanti non avevano una mira degna di nota e nessuno dei colpi sparati impensierì Watarù più di tanto.
- Ti farò al forno con carota in tuo culo! - gridò a quel punto il mutante iniziando a correre verso Watarù mulinando il fucile, ormai scarico, come una clava.
- Grazie, ma al mio culo ci tengo! - mormorò Watarù iniziando a retrocedere mentre lasciava cadere a terra un paio di mine antiuomo.
- Tue ossa per il brodo! - ripeté di nuovo il mutante continuando la sua corsa. Non si può dire che avevano un lessico molto vario ma era decisamente colorito.
- Guarda dove metti i piedi! - gli disse improvvisamente Watarù fermandosi di colpo.
- Uh? - gorgogliò il mutante sentendo un click provenire da sotto i suoi piedi.
- Me fottuto! - rantolò poi vedendo la mina antiuomo fare capolino da sotto il suo piede.
- Concordo con la tua analisi della situazione! - sogghignò infine Watarù gettandosi in una cunetta sul bordo della strada mentre la mina esplodeva proiettando in alto pezzi di mutante e di fondo stradale.
La nuvoletta di polvere e sangue ancora non si era diradata che una gragnuola di proiettili si abbatté verso Watarù che fece appena in tempo a correre via dalla cunetta e rifugiarsi dietro una roccia dall'altra parte della strada.
- Li devo aver fatti incazzare! - sussurrò riprendendo fiato e togliendosi da dietro la schiena lo zaino.
Il primo mutante era andato ma non era ancora finita.
Ce ne erano degli altri e li aveva fatti incazzare davvero per bene.
Gli stavano rovesciando addosso tutte le munizioni che avevano.
- Due, tre! - cercò di capire in quanti fossero dalla posizione degli spari e dalle diverse armi - Due fucili da caccia ed un fucile d'assalto! - poi tirò fuori la mitragliatrice da 10mm ed alcune granate a frammentazione.
Una sola possibilità. Come sempre in quel mondo post apocalittico. Nessun esame di riparazione, nessuna seconda possibilità.
- Fuoco alle polveri! - urlò lanciando verso i punti da cui sentiva provenire gli spari le granate. Alcuni grugniti gli indicarono che doveva aver indovinato e si permise un piccolo ghigno di approvazione.
Ma non doveva perdere la concentrazione.
Con un guizzo fu fuori dal suo rifugio e quasi nello stesso istante in cui le granate esplodevano lui iniziò a fare fuoco con la mitragliatrice.

    Lo scontrò durò poco meno di un minuto.
I mutanti, storditi e feriti dalle granate, ripresero a sparare all'impazzata senza riuscire a colpire Watarù che, conscio della sua unica superiorità, l'agilità, schizzava da una parte all'altra cercando di offrire un bersaglio molto difficile da colpire.
E alla fine sul terreno rimasero i corpi dei tre mutanti mentre Watarù se l'era cavata solo con qualche graffio ed un paio di buchi in più nello spolverino.
Tra non molto lo avrebbe rappezzato ma prima di tutto, si disse, controlliamo se la zona è tranquilla.
- E questa volta non fare stupidaggini! - aggiunse mentalmente avanzando con cautela verso la  baracca dopo aver recuperato lo zaino.
Adesso li vedeva cazzo. I corpi appesi ai pali, le ossa buttate per terra, i teschi usati per delle decorazioni e, soprattutto, quelle schifose sacche fatte di rete con dentro dei pezzi di carne. Non carne normale. Carne umana.
Pezzi interi, gambe, braccia, torsi.
E diavolo se puzzavano.
Di carne putrefatta, morta, di merda, di tutto quello che si poteva immaginare.
E senza starci a pensare due volte infilò una mano in quella schifezza strappandone via una manciata di monete e qualche granata.
Mi sembra di avervelo già detto e se così non fosse scusatemi, il mondo post apocalittico non era adatto a persone con lo stomaco delicato.
Finite di controllare le frattaglie Watarù si appostò accanto alla porta della baracca notando che, poco più dietro c'era un'altra baracca identica.
Non che la situazione a quel punto gli piacesse molto. Era da solo e poteva controllarne solo una  alla volta.
Per un'attimo gli balenò in mente l'idea di lanciare dentro la baracca un paio di granate.
Un'ottimo sistema per ripulirla. Ma anche il modo migliore per fare a pezzi tutto quello che di utile poteva esserci dentro.
- D'accordo! - mormorò tirando fuori la sig dalla fondina e armando il cane - Vediamo di fare le cose per bene questa volta! -
- C'è nessuno? - domandò aprendo la porta ed entrando venendo subito aggredito da un tanfo che lo fece barcollare.
- Ci sono io! - gli rispose all'improvviso una ragazza legata mani e piedi e gettata a terra vicino ad un vecchio frigorifero e accanto al cadavere di un'altra ragazza a cui mancava un bel pezzo di carne sulla spalla destra. Il sangue rappreso agli angoli della bocca e sul mento della giovane ragazza ancora viva erano abbastanza significativi.
- Cosa c'è? Non dirmi che sei vegetariano! - ghignò vedendo il volto di Watarù esprimere perplessità e ribrezzo su quello che stava vedendo.
Aveva mangiato di tutto da quando era uscito falla capsula di salvataggio. Carne di scarafaggi, di formiche, spiedini di iguana, roba scaduta un secolo prima e altra roba che solo a guardarla ti veniva da vomitare anche il pranzo del tuo secondo compleanno, ma mai aveva anche solo pensato di dare un morso a qualcosa che veniva da un suo simile.
- Se non pensi a cosa è va bene lo stesso! - gli disse la ragazza - E' carne! Cazzo amico, era morta ed io ero ancora viva! Cosa dovevo fare? -
- Lascia perdere! - decise infine Watarù chinandosi su di lei per scioglierle le gambe - Ti avverto, se provi a fare qualche scherzo strano ti faccio saltare la testa! -
Erano pochi mesi che si aggirava per quel mondo malato ma non era di certo uno sprovveduto.
Quella ragazza gli sembrava il tipo di persona pronta a tutto pur di guadagnare qualcosa. Anche a far fuori il suo salvatore per derubarlo.
- Senti un po', ma chi cazzo pensi che sia io? - lo apostrofò duramente - Certo, ho dato un bel morso alla spalla di mia sorella, ma era morta e se fossi stata io la prima a crepare lei avrebbe fatto lo stesso! -
- Ma non sono così bastarda da cercare di fregare il tizio che mi ha aiutato! - continuò mentre Watarù finiva di slegarle le gambe. Non tagliò semplicemente le corde come sarebbe stato più semplice, ma sciolse il nodo e recuperò la corda.
Tutto serve nella zona selvaggia.
- Piuttosto, sei sicuro di aver fatto fuori tutti e cinque i mutanti? - gli domandò poi.
- Si! - rispose seccamente - Cinque? -
I conti non tornavano.
Uno all'inizio, tre dopo, uguale quattro!
Ed il quinto dove diavolo era nascosto?
- Cucinerò te in forno con patata nel culo! - urlò il quinto mutante entrando dalla porta con una tavola chiodata in mano. I mutanti non brillavano certo per originalità nelle loro battute ma di sicuro erano molto originali nelle cose che intendevano infilare nel culo dei loro pasti.
- Eri sicuro, vero? - urlò la ragazza vedendo il bestione alto tre metri incombere su di loro.
- Non è il momento di stare a discutere! - le rispose di rimando Watarù. Quella giornata era iniziata male e stava andando anche peggio.
Cercando di non sbagliare mira puntò la pistola contro il mutante premendo il grilletto.
Il mutante era a meno di mezzo metro di fronte a lui ed era grande come un armadio. Anche senza prendere la mira lo avrebbe centrato.
Ed invece il proiettile andò a piantarsi sullo stipite della porta.
- Umano, sei patetico, umano! - ghignò il mutante sferrando un colpo con la tavola chiodata che colpì la canna della pistola facendola volare via dalla mano di Watarù e facendola finire in grembo alla ragazza che, pur avendo le mani ancora legate, l'afferrò tirando il grilletto un paio di volte.
Watarù sentì i due proiettili sibilargli accanto alle orecchie e si accucciò d'istinto un secondo prima che un terzo proiettile saettò nel punto esatto in cui era la sua nuca.
- I miei polsi! - urlò la ragazza.
- Ma sei scema! - gridò invece Watarù voltandosi verso di lei - Avresti potuto colpirmi! -
Un tonfo secco lo fece voltare di scatto.
- Adesso sono cinque! - sogghignò vedendo il mutante a terra con un buco in mezzo alla fronte.
- Già! - ghignò la ragazza porgendogli i polsi ancora legati - Che fai? Finisci di slegarmi o aspetti che arrivi qualcun altro a salvarmi? -
- Potevi comunque avvisarmi prima di sparare! - le disse dandosi dei colpetti con il palmo della mano alle orecchie - Per poco non mi facevi saltare i timpani! -
- Come sei delicato! - ghignò di nuovo continuando a porgergli i polsi ancora legati - Le corde! -
- Si! - mormorò armeggiando con i nodi - Uno mi è passato a meno di un centimetro. Ho sentito lo spostamento d'aria! -
- Ma da dove vieni? - gli chiese - Dallo spazio? -
Solo in quel momento la ragazza notò che da sotto la camicia a scacchi faceva capolino il nero di una tuta attillata e che lo zaino che il ragazzo si portava dietro le spalle aveva un qualcosa di strano. Una specie di schermo bluastro.
- Non dirmi che sei il tizio di cui Oracolo parla alla radio! - esclamò sorpresa.
- Tutte esagerazioni! - si premurò di dirle mentre con lo sguardo perquisiva la baracca alla ricerca di qualcosa di utile da prendere. Tranne il cadavere sbocconcellato non vide nulla di interessante e, con una alzata di spalle vi si diresse iniziando a spogliarlo.
- Ehi! - lo fermò la ragazza - Non mi dirai che ti fa schifo dargli un morso ma che non disdegni affondarci dentro il tuo coso! -
- Non sono un necrofilo! - si voltò di scatto - Però questi abiti sono in buone condizioni e lasciarli qui sarebbe uno spreco! -
- E' mia sorella! - si lamentò poi la ragazza - E se qualcuno deve spogliarla quella sono io! -
- Ma se non ci fossi stato io, tu a quest'ora eri nella padella di qualche mutante! - controbatté Watarù deciso ad impossessarsi di qualunque cosa utile avesse trovato sul corpo del cadavere sbocconcellato - E magari, prima di farti arrosto con una carota nel culo, ti ci infilavano anche qualche cos'altro! -
Di solito non era così rapace e tutto sommato la maglietta sbrindellata ed i pantaloni che indossava il cadavere potevano valere si e no un paio di monete ma aveva deciso di non darla vinta a quella cannibale.
- Oracolo parla bene di te! - lo guardò sconcertata.
- Al diavolo anche lui! - sbottò alla fine lasciando perdere la perquisizione della salma - Siamo qui fuori, nella zona selvaggia, e non dentro quella cazzo di radio protetti da decine di uomini armati pesantemente. Cosa diamine vuoi che ne sappia lui di cosa è la vita qui fuori? Qualcuno gli riporta qualche cosa e lui poi ci arzigogola sopra! -
- Che schifo! - lo guardò schifata - Ma non può farla da qualche altra parte? -
- Lasciamo perdere! - mormorò con un sorriso decidendo che conveniva finirla li. Addosso al cadavere c'era davvero ben poca roba e, comunque, era stato anche grazie a lei se era ancora vivo - Vuoi seppellirla o la lasciamo qui? -
- Sarebbe inutile - mormorò infine anche lei - qualche animale la tirerebbe fuori lo stesso per mangiarsela! -
- Ho del liquido infiammabile! - le disse poi Watarù - Un bel falò? -

    Le fiamme si alzarono rapidamente alimentate oltre che dal liquido per il lanciafiamme dal pattume che Watarù e la ragazza avevano ammucchiato sul corpo dentro la baracca.
Prima di dare fuoco Watarù aveva comunque esplorato a fondo la baracca alla ricerca di qualcosa di utile ma quasi subito si era reso conto che non c'era nulla che valesse la pena di portarsi dietro.
La ragazza invece se ne era rimasta accanto al corpo della sorella, in silenzio, e se ne era staccata solo quando Watarù aveva iniziato a rovesciargli addosso il liquido infiammabile.
- Meglio allontanarsi! - suggerì Watarù voltando le spalle al falò - Le fiamme potrebbero richiamare persone non necessariamente ben disposte! - poi, guardando la ragazza - Dove eravate dirette? -
- A Sbad Cavern! - gli rispose - Un tizio che si era fermato anni fa nella fattoria dei nostri genitori ci raccontò che ci viveva una comunità di brava gente e che avevano ancora l'elettricità, l'acqua corrente e che riuscivano a coltivare quello che volevano dentro le caverne grazie a dei pony idrici! -
- Credo intendesse dire colture idroponiche! - sorrise Watarù.
- Eravate solo voi due? - le domandò poi stupendosi di come potevano essere state così sbadate da avvicinarsi ad un posto controllato da dei macellatori - I vostri genitori? E le teste piantate nei pali e i corpi appesi non li avete visti? -
Cioè, anche lui non aveva visto tutti quei segni ma non era certo il caso di mettersi a fare dei sofismi.
- Li abbiamo visti solo quando ormai eravamo troppo vicine, ed era troppo tardi! - mormorò - I mutanti ci avevano ormai circondato e non abbiamo potuto far altro che gettare le armi! -
- I nostri genitori sono morti ed è per questo che io e mia sorella eravamo in viaggio! - aggiunse  poi - Ci hanno portato fin qui e ci hanno gettato dentro quella baracca! Mia sorella deve aver sbattuto da qualche parte perché ad un certo punto ha iniziato a dire che aveva male ad un fianco ed che si sentiva strana! -
- Ho gridato e ho continuato a gridare! - continuò il suo racconto - Ma nessuno veniva a vedere come stavamo e sentivo solo di tanto in tanto venire dei rumori da di fuori! Qualche volta delle grida, altre volte dei grugniti! -
- Ed alla fine mia sorella è morta! - sussurrò con un tremito.
- I mutanti avevano catturato anche delle altre persone prima di noi! - disse poi - Le ho viste quando siamo state portate qui! Due ragazze ed un uomo! -
- L'uomo era ferito gravemente alla testa ed aveva una grossa macchia di sangue all'altezza dell'inguine! - gli descrisse - Credo che sia morto poco dopo mentre le ragazze non so che fine abbiano fatto! -
Probabilmente, si disse Watarù guardando verso l'altra baracca, le due ragazze dovevano trovarsi li.
- Quando mia sorella è morta io... - cercò di continuare a parlare ma il tremito era diventato ormai così forte e incontrollabile che dovette fermarsi.
Anche se stava recitando una parte da dura era pur sempre una ragazza di poco più di sedici anni che si era trovata in una situazione allucinante.
- Vado a controllare l'altra baracca! - decise improvvisamente Watarù.
Non l'aveva ancora esplorata e se la ragazza non gli avesse detto che c'erano anche altre persone se ne sarebbe andato senza neanche degnarla di uno sguardo.
- Aspetta qui! - le disse avanzando di qualche passo verso la seconda baracca. Con una smorfia, poi, si fermò tornando indietro frugando nello zaino - Tieni! -
La ragazza guardò la pistola da 10 millimetri e il pacchetto di munizioni che Watarù le stava passando ma non fece nessun cenno di voler prendere le due cose.
- Non abbiamo tutto il giorno! - la incitò a prendere l'arma e le munizioni - C'è un tanfo insopportabile qui e vorrei andarmene via il prima possibile! - poi si rese conto che probabilmente parte del tanfo veniva dalla ragazza - E vorrei trovare dell'acqua per farti dare una lavata! Puzzi come un cesso! -
- Non ho nulla da darti in cambio! - mormorò continuando a guardare alternativamente le due cose e il volto del ragazzo.
In quel mondo tutto aveva un valore, anche la merda, e nessuno ti dava qualche cosa senza volere qualcos'altro in cambio. Monete, cibo, munizioni, droghe, sesso.
- Non è un regalo, e neanche un baratto! - le specificò allora Watarù - Ma è un prestito! Quando ci separeremo mi ridarai sia la pistola che le munizioni! -
- E chi ti assicura che te le ridarò? - gli domandò prendendo finalmente l'arma e il pacchetto di munizioni - Oppure che non ti spari alla schiena e mi prenda anche tutto il resto? -
- Nessuno, tranne il mio intuito! - sorrise voltandosi e dandole le spalle a voler confermare quanto le aveva appena detto.
Un rivoletto di sudore freddo gli corse giù, lungo la spina dorsale, quando sentì il rumore dei proiettili che venivano caricati nel tamburo della pistola.
il suo intuito era qualcosa di cui non fidarsi assolutamente ma in quel momento gli era sembrata la cosa più giusta da dire.
Sperò che non fosse stata l'ultima cosa e, aspettandosi di sentire da un momento all'altro il rumore secco degli spari, si diresse verso la seconda baracca tirando un grosso sospiro di sollievo una volta che vi fu dentro.
- A quanto pare non mi sbagliavo! - sorrise appoggiandosi contro la porta chiusa. Poi iniziò a guardarsi intorno.
Da quanto la ragazza gli aveva detto le altre due ragazze dovevano essere state tenute prigioniere in quella baracca e quindi era preparato allo spettacolo che gli si sarebbe parato davanti.
O quanto meno, credeva di essere preparato.
Pochi attimi dopo era fuori dalla baracca con un sapore di acido che gli stava crescendo nella gola e il fiato spezzato dai conati di vomito.
. Non c'è nulla che valga la pena di prendere! - gridò verso la ragazza che, qualche metro più in la, lo osservava.
- Non c'è nulla! - ripeté di nuovo tirando fuori dallo zaino altre due tanichette di liquido infiammabile. Pochi secondi dopo anche la seconda baracca era avvolta dalle fiamme.
Dio, ne aveva viste di cose da quando era uscito dalla capsula di salvataggio ma ero proprio vera quella frase. al peggio non c'è mai fine.
- Da che parte si va? - domandò all'improvviso alla ragazza cercando di riprendersi - Nulla in contrario se faccio un po' di strada insieme a te? -
- Cosa ti fa pensare che abbia voglia di dare un po' di strada insieme a te? - gli rispose seccamente e con una certa punta di sospetto nella voce.
Nella zona selvaggia la maggior parte delle leggi e delle regole sociali che vigevano una volta su quella palla di merda e fango chiamata Terra erano andate a farsi fottere.
Viaggiare insieme?
Per renderti più facile il lavoro di saltarmi addosso mentre dormo? No grazie, preferisco viaggiare da sola.
Diffidare era diventata la parola d'ordine di quel nuovo mondo.
- Tu hai un obiettivo da raggiungere mentre io, per il momento mi limito a vagare! - le rispose Watarù - Per cui, vagando di qua e di la non ci vedo nulla di male se vago anche un po' dalle tue parti! -
- Ma parlate tutti così difficile voi gente caduta dallo spazio? - lo guardò trattenendo a stento una risata - Mi chiamo Random ma mia sorella mi chiamava Ran! E tu? -
- Watarù - rispose sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle e indicando un punto sull'orizzonte verso ovest - hai detto che stavate cercando un posto chiamato Sbad Cavern! Hai almeno una idea di dove si trova? -
- No! - rispose candidamente - Speravamo che ad un certo avremmo incontrato qualcuno che sapesse dove si trovava! -
- Per cui, una direzione vale l'altra! - decise infine Watarù iniziando a camminare mentre dalla radio che portava appesa allo zaino tornò a eruttare la voce di Oracolo che, probabilmente in preda a chissà quale acido, iniziò a blaterare di alberi verdi e di un tizio che era diventato un albero e che stava cercando qualcuno che gli piantasse una pallottola nelle radici per farlo smettere di germogliare3.
Diavolo ragazzi, quando Oracolo era fatto riusciva a dire certe stronzate che non stavano ne in cielo ne in terra.
- Dici che sia vero? - gli chiese improvvisamente Ran - Che una persona si possa trasformare in albero? -
Watarù non le rispose ma per pochi attimi rimase sorpreso dal vedere un piccolo sorriso sul viso spruzzato di efelidi di quella ragazza.

1 La maggior parte dei luoghi citati in questa storia esistono realmente e si trovano negli Stati Uniti. In alcuni casi le descrizioni dei luoghi, ovviamente modificate per aderire meglio all'ambientazione della storia, sono state fatte guardando le immagini di Street View. Se volete vedere i luoghi dove è ambientata questa storia (con i segnaposti) potete andare qui (potreste trovare degli spoiler sulla storia quindi navigate con attenzione).
2 Citazione da Fallout 3
3 Si tratta di una quest presente in Fallout 3 che viene citata anche nella mia fanfiction su questo gioco, Avete mai visto un albero


Quattro chiacchiere con l'autore
La storia che avete appena letto o che vi state apprestando a leggere, a seconda se siete arrivati qui seguendo il link ad inizio pagina o meno, è a tutti gli effetti un reboot in chiave originale di una mia serie di fanfiction ambientate nel mondo di Fallout 3
Vi troverete quindi alcune cose già presenti nelle fanfiction (come ad esempio i protagonisti, Watarù e Ran e la scena del loro primo incontro), mentre non troverete altre cose che facevano parte del mondo di Fallout 3 (non troverete Megaton e lo sceriffo Simms, tanto per dirne una). Alcuni passaggi, poi, saranno del tutto identici a quelli presenti nella serie di fanfiction mentre altri saranno modificati per adattarsi al nuovo scenario (Ran non viene da Little Lamplight e Watarù non è appena uscito da un vault).
Per molti versi questa storia è una specie di grande omaggio non solo a Fallout 3 (e New Vegas) ma anche a Mad Max e a molte altre opere post apocalittiche e ci saranno, quindi, svariati riferimenti a tutto questo materiale. Riferimenti che cercherò sempre di esplicare nelle note finali (se qualcosa dovesse sfuggirmi fatemelo presente).
Spero che accoglierete questa mia nuova storia (sono quattro capitoli in totale e sono tutti completi) come avete accolto le mie fanfiction su Fallout 3 e che vi piaccia e, soprattutto, che vi divertiate a leggerla come io mi sono divertito a scriverla.
© 2015 - suinogiallo

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